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7/4/2005 - Capitolo 18 - Il ghiacciaio del Verme Bianco

E' la mattina del 10 di alturiac, e Jalavier appena svegliatosi dopo una notte gelida passata sotto l'ala del drago J'Kilvèr, decide di provare a tagliarsi la barba. In quelle condizioni atmosferiche la cosa risulta ancor più ardua che uccidere il remoraz del giorno precedente.

La temperatura infatti è ben al di sotto dello zero, per fortuna è però mitigata dai raggi del sole, anche se raffiche di vento, come spiega il drago d'argento, preannunciano un peggioramento del tempo.

I cinque compagni, iniziano la marcia sempre in direzione sud-ovest, alla ricerca del villaggio abitato dai barbari autoctoni del ghiacciaio. Come previsto da Alatias, Già a metà giornata, il cielo inizia a velarsi, provocando così un calo di temperatura e rendendo il vento ancor più tagliente. Già nel primo pomeriggio, il vento diventa insopportabile, tanto che risulta quasi impossibile anche parlarsi, inoltre si profila un cupo e massiccio fronte nuvoloso che si avvicina quasi a vista d'occhio.

"E' impossibile continuare in queste condizioni!" urla Duncan all'orecchio di Jalavier, che con un cenno del capo fa segno d'aver capito. La tempesta è ormai alle porte, e i cinque si rendono conto di non avere nessuna possibilità di costruirsi un riparo nella desolata spianata di ghiaccio. Così Alatias, tornato in forma umana, decide di usare le maniere forti, e usando la sua bacchetta magica, fa esplodere due palle di fuoco sulla superficie del ghiaccio, per cercare di bucarla e ricavarne un riparo; il cratere che ne risulta, è però troppo largo e troppo poco profondo per garantire un riparo. E mentre gli eroi cercano di escogitare un'altra soluzione ormai sotto le prime raffiche di tempesta, un improvviso tremore e un susseguente boato, annunciano l'aprirsi di una voragine nel ghiaccio, sotto ai piedi del malcapitato Risarcitore che viene risucchiato sotto il ghiaccio. I quattro superstiti si precipitano sul ciglio del crepaccio, ma vengono sorpresi da un remoraz che schizza fulmineo fuori dalla voragine e azzanna Alatias che fortunatamente riesce a scrollarsi di dosso il mostro. All'unisono, i quattro reagiscono chi con incantesimi d'attacco (i missili magici di Alatias) chi preparandosi a colpire il mostro non appena questi si lancia fulmineo sulla preda. E' il caso di Jalavier e Norman che con alcuni affondi feriscono e tengono, per quanto possibile, a bada il verme. Quando però la situazione sembrava essere sotto controllo, un altro boato annuncia l'agguato di un altro remoraz: un gigante che svetta fino a 6 metri d'altezza fuori dalla buca e attacca Duncan mancandolo per puro caso.

Il remoraz gigante sembra farsi beffe della barriera di lame che il chierico di Torm ha invocato e posizionato proprio sull'entrata della voragine. Per fortuna però un altro affondo del remoraz va a vuoto grazie ad un banco di nebbia che Alatias ha invocato e posizionato a due metri d'altezza per impedire la visuale al mostro. Il vento però disperde la nebbia in pochi attimi.

A questo punto il party si trova in netto svantaggio, fortunatamente Norman, con alcune affondate davvero perentorie e un devastante attacco finale (veeeentiiii), riesce ad uccidere il primo remoraz, e assieme a Jalavier si appresta ad attaccare anche il remoraz gigante; il quale però sparisce nella propria apertura.

Per un momento è il silenzio più assoluto, se non per il rumore del vento che sferza i quattro sopravvissuti, rimasti immobili a prendere fiato. Poi improvvisamente il cadavere del primo verme, viene risucchiato all'interno della prima voragine, e dopo qualche attimo uno strillo raggelante emerge dalle viscere del ghiacciaio. Sembra quasi che il remoraz ancora in vita stia piangendo per la morte del suo simile.

E' la calma che precede la tempesta, perché un attimo dopo, il predatore sbuca fuori in tutta la sua possanza, e con un movimento fulmineo e terribile (venti!), azzanna Norman, lo inghiotte come un cane con una salsiccia e sparisce all'interno della voragine.

Duncan, Jalavier e Alatias, gli unici sopravvissuti, rimangono attoniti di fronte a questa situazione surreale. Ma nel profondo animo di Duncan, si scatena una rabbia incontrollabile per la perdita di un fratello come Norman, con cui ha condiviso le emozioni più intense di tutta la sua vita.

Il volto del sacerdote è trasfigurato, e dalla sua bocca emergono parole di preghiera, di vendetta e di morte. L'ululare della tempesta raccoglie e amplifica le invocazioni di Duncan, tramutandole da supplica in un perentorio ordine che rimbalza, sotto forma di un profondo brontolio, nella tempesta già carica di energia. Le nubi iniziano a contorcersi e a vorticare come in risposta all'ira del sacerdote di Torm.

E poi l'esplosione.

Tutta l'energia di una tempesta di alta montagna incanalata in un unico, tremendo fulmine che spacca in due il cielo e va a schiantarsi all'interno della voragine, distruggendo e sconquassando, proprio dove il remoraz si era rintanato.

Appena tornata un minimo di calma, Duncan, ancora in preda all'ira, si butta a capofitto nel crepaccio, scivolando giù in un tunnel di ghiaccio, e sbuca in una vasta caverna semitrasparente. Il verme semicarbonizzato è immobile in mezzo alla caverna e Duncan sullo slancio vi finisce contro assestandogli una potente martellata. Dopo pochi attimi anche Jalavier sbuca all'interno della grotta di ghiaccio e va a colpire il remoraz ormai morto.

Immediatamente Duncan esorta Jalavier a sbudellare il verme con la spada, e il paladino non se lo lascia dire due volte. Il corpo di Norman, semisciolto dallo stomaco rovente della bestia, viene estratto, e i due devono constatare con stupore che il guerriero è ancora disperatamente aggrappato alla vita, malgrado le gravissime ustioni. La pelle è inesistente, così come capelli e barba, ma il volto sembra essere la parte meno colpita e sembra aver mantenuto i tratti somatici del guerriero. I due si affrettano a prestargli le cure di cui ha estremo bisogno, invocando i miracoli dei loro dei; mentre Alatias, dopo essersi accertato delle condizioni di Norman, esce nella tempesta nascosto da un incantesimo di invisibilità, per controllare che nessun altro pericolo possa minacciare il gruppo. Di Stingary invece nessuna traccia, neanche nei tunnel vicini che sbucano numerosi nella caverna.

Dopo svariati potenti incantesimi curativi, Norman ha un sussulto di vita, apre gli occhi dalle orbite completamente nere, e lancia un rantolo strozzato. Poi piomba nel sonno. Viene poi avvolto nei mantelli di Duncan e Jalavier, e per proteggerlo ulteriormente viene sottoposto ad un particolare incantesimo del sacerdote che gli conferisce un magico tepore.

I due sant'uomini rimangono soli nella caverna, e si concedono di rilassarsi un momento dopo la concitazione dei minuti precedenti.

"Duncan, come ti spieghi che Norman sia ancora in vita? E' inverosimile!" domanda il paladino.

"Infatti non me lo spiego! Doveva essere morto, nessuno poteva resistere ad una cosa del genere! Comunque meglio così".

Il giorno lascia il posto alla sera, e col tramonto, la luminosità che filtrava dal ghiaccio viene a mancare, così Duncan estrae dal proprio zaino una lanterna e l'accende. Intanto Jalavier, ha trovato qualcosa di strano in una delle pareti ghiacciate. Si notano delle ombre scure, una in particolare sembra essere incastonata non lontano dalla superficie.

Usando la fiamma della lampada e un coltello, riesce a scavare nella superficie ghiacciata fino ad estrarre un elmo di ottima fattura, davvero molto elegante. Risulta invece impossibile riuscire a raggiungere quelli che sembrano altri oggetti incastonati più in profondità.

Col sopraggiungere della notte, anche Alatias rientra nella cavità ghiacciata, comunicando che la tempesta continua ad imperversare, ma secondo la sua esperienza dovrebbe esaurirsi entro la notte. Inoltre, notando l'elmo recuperato da Jalavier, effettua un incantesimo per discernere gli oggetti magici, e nota che oltre all'elmo di Jalavier, anche altri oggetti incastonati nella parete risplendono di aura magica. Duncan spiega che domattina, a mente fresca, potrà approntare un incantesimo per scavare con disinvoltura nel ghiaccio e recuperare tutto.

Intanto Jalavier, ha un sussulto e sbianca in volto. Per qualche attimo sembra avere lo sguardo assente, poi tira un grosso sospiro; ma il volto rimane provato da qualche tipo di sofferenza.

"Jalavier, cosa ti succede?" Domandano all'unisono Alatias e Duncan.

"Prima ho tentato di invocare i poteri del pezzo di Rod che è in mio possesso, e adesso credo di aver subito un tentativo di individuazione da parte di qualcuno. Forse questo qualcuno è in grado di capire quando viene usata la Rod.

La notte passa serena, e la mattina dell'11 di alturiac, i due sant'uomini, accorrono di nuovo al capezzale di Norman per effettuare un'altra terapia a base di potenti incantesimi curativi. Poi, lasciato Norman a riposare ancora, Duncan effettua una magia e una spada di fuoco appare nella sua mano. Con quell'arma soprannaturale, risulta semplice tagliare il ghiaccio ed estrarre tutti gli oggetti incastonati nel ghiaccio. Vengono trovati una spada corta, uno scudo, e dei rotoli di pergamena, oltre ad un cadavere di mezz'elfo perfettamente conservato dal ghiaccio. Alatias effettua un incantesimo per scoprire che tipo di magia è infusa negli oggetti, e scopre che, mentre lo scudo e la spada corta sono pervasi da deboli poteri magici che ne migliorano appena un po' le prestazioni (+1), l'elmo è un oggetto davvero interessante. La sua magia di protezione è discreta (+2), ed inoltre concede l'incantesimo che rende in grado di volare, anche se per un breve lasso di tempo.

Nella tarda mattinata, Norman si risveglia. Le sue condizioni sono notevolmente migliorate, anche se alcune parti del corpo sono ancora in pessimo stato, in particolare le mani sono quasi ancora prive di pelle.

"Se vivo per miracolo! Anzi, dovresti essere morto, infatti non capisco come mai sei ancora vivo." Afferma Jalavier.

"Sei stato divorato da un remoraz gigante. Ti abbiamo estratto dal suo stomaco, ed eri ancora in vita!" Aggiunge Duncan.

"Mi sono sentito stritolare e bruciare, e in quel momento ho capito che sarei morto. Poi la morsa si è allentata e il caldo è passato. Dopo non ricordo più nulla. Non vedo il Risarcitore, che n'è stato di lui?" Risponde Norman.

"Non l'abbiamo trovato né qui, ne nelle vicinanze delle imboccature di questi tunnel. A questo punto non possiamo fare più niente per lui. E' un uomo dalle mille risorse, e sa dove siamo diretti. Se è ancora vivo, confido che sia in grado di trovarci."

Il gruppo così decide di rimettersi in cammino. Norman, i cui vestiti sono bruciati nello stomaco del remoraz, si veste coi vestiti del cadavere di mezz'elfo anche se sono un po' piccoli. Si infila i guanti di Duncan per proteggersi le mani ancora ferite, e il mantello di Jalavier.

All'esterno la temperatura è come sempre molto freddo, ma il sole è tornato a risplendere nel cielo, e i suoi raggi garantiscono quel po' di tepore che aiuta a sopportare la rigidità della temperatura. Man mano che i quattro superstiti avanzano, l'altipiano scende di altitudine e si restringe in larghezza, portando le vette che lo delimitano ai lati, ad essere ormai molto vicine. Anche lo spessore del ghiaccio si assottiglia molto, fino a scomparire del tutto in alcuni punti dove emergono speroni di roccia levigati dal lento spostarsi a valle del ghiacciaio.

Norman suggerisce di muoversi costeggiando il più possibile le zone libere da ghiaccio, in modo da scongiurare il più possibile altri attacchi da parte dei remoraz.

Così, nel costeggiare uno dei tanti speroni rocciosi, Jalavier viene sorpreso dall'agguato di un uomo armato di martello. E' di corporatura davvero massiccia, e ha i capelli biondi. Sicuramente è uno dei barbari autoctoni che i quattro reduci stanno cercando. Mentre i compagni sfoderano le armi per affrontare l'aggressore, altri quattro energumeni escono da dietro la roccia e si buttano nella mischia.

Duncan effettua il classico incantesimo blocca persone, e uno dei barbari subisce la magia e rimane immobile. Jalavier, ingaggia duello col primo aggressore, ma rimane molto guardingo; effettua solo parate e poi disarma l'avversario con un affondo preciso. Anche Alatias tergiversa, trasformandosi mediante un incantesimo, in un piccolo remoraz con l'intento di spaventare gli aggressori. Non vogliono farsi nemici coloro che dovranno indicar loro dove si trova l'altare sacrificale della visione che Jalavier ebbe quando impugnò la Rod. Ma Norman non è della stessa idea. Colto da un eccesso d'ira, impugna la Spada dei Duchi, e con un affondo preciso, recide di netto la testa di uno dei barbari. Contemporaneamente Jalavier, era stato costretto a fracassare un ginocchio al suo avversario che, sebbene disarmato, non si dava per vinto.

I due barbari superstiti perdono morale e si danno alla fuga. Ma l'ira di Norman ancora non si è placata, così il guerriero punta la spada contro uno dei fuggitivi e attiva la magia che spara le due lame laterali nella schiena del barbaro, che cade morto sul colpo.

L'uomo col ginocchio rotto, tenta disperato di allontanarsi strisciando, e il paladino con misericordia, effettua un incantesimo per curargli la ferita, così da permettergli di scappare. Anche Duncan libera l'uomo imprigionato dal vincolo magico, che scappa a gambe levate.

I quattro riprendono la marcia, e dopo qualche tempo, scorgono in lontananza il villaggio dei barbari. Si tratta di un'ottantina di abitazione costruite per metà a igloo e per l'altra metà di legno. Cinque spuntoni rocciosi circondano il villaggio. Gli stranieri vengono immediatamente avvistati, e nel villaggio si crea un certo fermento. Un drappello di una trentina di barbari esce dal villaggio e si dirige ad intercettare i quattro. Tre figure sono alla testa del plotone: un barbaro di mezz'età, un barbaro giovane e dal fisico possente armato di una gigantesca alabarda, ed un vecchio decrepito che si appoggia ad un bastone.

Non appena i due gruppi vengono a contatto, il barbaro di mezza età (che è il re), piuttosto incollerito, accusa gli stranieri, in particolar modo Norman di essere assassini. Immediatamente Jalavier e Duncan si giustificano affermando di essere stati aggrediti e di non avere avuto altra scelta. Il re però non è per niente convinto, ed è propenso a dare credito ai suoi uomini, così prende la parola Alatias. Non appena pronuncia le prime parole, il vecchio si volta verso di lui con un'espressione di grande stupore sul volto. S'inginocchia e rende omaggio ad Alatias, che lui in quanto sciamano ha riconosciuto nelle sue vere sembianze di drago d'argento: "Erano secoli che uno della tua razza non ci onorava con una visita". Poi si rivolge al re e agli altri uomini, e ordina loro di inginocchiarsi, infine chiede: "Chi di voi è il portatore dell'equilibrio?" "Sono io" risponde Jalavier.

I quattro vengono invitati nel villaggio, e il re spiega loro che esiste una leggenda tramandata da secoli, che in tempo di caos, un gruppo di uomini sarebbero venuti dal mare. E tra loro ci sarebbe stato anche colui che avrebbe riportato l'equilibrio. "Non credevo che insieme agli uomini venuti dal mare ci fosse anche uno della tua nobile razza" afferma lo sciamano che si chiama Beremen (Jetraviag è il nome del re barbaro, mentre suo figlio si chiama Fervoc), "significa che il caos è davvero imperversante".

"In effetti - prosegue lo sciamano - per il nostro popolo, questo è davvero un momento di grande confusione. Gli equilibri che per millenni hanno regolato la vita di questa valle, sono venuti meno. E noi ci troviamo in grave difficoltà. Anche per questo le mie guardie hanno reagito in maniera così ostile al vostro arrivo."

"Esisteva un patto - aggiunge - tra la nostra tribù, e la popolazione dei vermi bianchi. Da millenni ormai loro ci proteggevano dai pericoli e dai predatori, e noi in cambio offrivamo in sacrificio alla grande madre due infanti l'anno. La grande madre è la nostra dea, e i suoi figli, i remoraz sono creature sacre"

"Adesso tutto questo è venuto meno: in questi tempi di grande caos, abbiamo subito attacchi da vari predatori, come i giganti del ghiaccio, che di solito non ci avevano mai recato fastidi, e i remoraz non sono intervenuti a nostra difesa, anzi spesso i nostri uomini sono stati attaccati dai vermi bianchi".

"Voi avete incontrato dei vermi bianchi lungo li vostro cammino?" Domanda Jetraviag.

"No, li abbiamo evitati" Risponde Duncan mentendo.

"Cosa diceva la leggenda in proposito degli uomini venuti dal mare?" Interviene Alatias per cambiare discorso.

"La leggenda dice che questi uomini, porteranno l'equilibrio poi spariranno nella tana della grande madre, un antico tempio dedicato ad un antico dio dimenticato: Lord Ao. Le origini della nostra tribù, risalgono a quel tempo". Spiega Beremen il druido.

"Noi dobbiamo raggiungere un altare sacrificale, una volta giunti lì, dovremo trovare l'entrata di una grotta dove si trova un oggetto che ci consentirà di iniziare la battaglia contro il caos". Precisa Sir Norman "Sapete dove si trovano questi due luoghi?"

"Possiamo condurvi fino all'altare sacrificale, ma non fino al tempio della grande madre, che si trova sulle pendici della montagna sacra (un monte alto 10.500 metri), che è dimora dei remoraz e dove noi non possiamo andare."

"Grazie infinite!" Aggiunge Jalavier. "Jetraviag, accetta questo scudo, come dono per la tua generosità nei nostri confronti", e consegna al re barbaro lo scudo estratto la mattina stessa dal ghiaccio.

A questo punto i quattro decidono di andare a dormire, visto che la giornata è stata parecchio dura e Norman ha ancora bisogno di riposo e cure. Al suo capezzale si ferma infatti Duncan, per portare le cure al suo corpo ancora martoriato, e alleviare le pene dell'anima. Norman infatti chiede di potersi confessare per avere mondati i propri peccati (come già ad Ironfang Keep).

La mattina del 12 di alturiac, recuperati presso i barbari alcuni vestiti pesanti per Norman, i quattro si mettono in marcia, assieme a Jetraviag ed alcuni del suo seguito. Raggiungono l'altare sacrificale, che Jalavier riconosce immediatamente. Si tratta di una roccia naturale di colore rossastro a forma di parallelepipedo. Alatias nota immediatamente che l'altare emana un'aura magica, infatti attorno e su di essa, il ghiaccio è assente e, anzi la vita germoglia sotto forma di un'erbina fresca e verde; davvero anomala in quel contesto.

"Noi non possiamo andare oltre" spiega Jetraviag. "voi dovrete proseguire risalendo la montagna. L'entrata del tempio potrebbe essere celata dal ghiaccio. C'è però una roccia aguzza alta qualche decina di metri, che contraddistingue il luogo dove si cela l'entrata del tempio".

"Fate attenzione ai remoraz, sono predatori temibili, e le loro gallerie si estendono per centinaia di km sotto tutto il ghiacciaio. Buona fortuna".

I quattro salutano Jetraviag, e si allontano lungo la traccia di sentiero che si inerpica risalendo il pendio.

Vai al Capitolo 18 bis: La confessione di Sir Norman